Il deserto più arido della Terra si trova in Sudamerica, tra il Perù meridionale ed il Cile Settentrionale.

Atacama, il luogo il cui le precipitazione annue non superano i 2.1mm di pioggia, è una stretta lingua di terra, abbracciata dalla cordigliera delle Ande, in cui il costante stato di alta pressione impedisce la formazione di nubi. 

Le forti escursioni termiche tra giorno e notte (dai 40 gradi diurni ai 5 gradi notturni) e rilievi con altitudine di circa 2000 metri, rendono Atacama un deserto unico al mondo; l'unicità di questa area geografica è accentuata, ogni sei/sette anni, da un tappeto di fiori viola e bianchi, che si estende su una superficie vastissima, e perdura per circa tre mesi (Settembre-Dicembre). El Nino, infatti, il vento che soffia sul territorio andino, porta la poca pioggia necessaria alla fioritura delle "Rose di Atacama" che rendono questo posto il "deserto fiorito". 

La fioritura del deserto, ormai ridottasi a macchia di leopardo, meno persistente e sempre più rara, è minacciata non solo dal cambiamento climatico, ma anche dal costo ambientale della moda.Il deserto di Atacama, così arido e così poco affine alle condizioni di vita umana, è infatti diventato la più grande discarica a cielo aperto di scarti del mondo del fashion; scarti che, solo per l'Italia, rappresentano circa 240.000 tonnellate pari a 36 milioni di euro.

Si stima, infatti, su base europea, che il consumo di abiti, accessori e prodotti tessili, si aggiri intorno a 10 kg pro-capite; con una raccolta mirata, si potrebbero recuperare quasi 5 kg pro-capite l'anno di scarti tessili, anzichè spedirli dall'altro capo del mondo e rendere immondizia un così raro e spettacolare patrimonio ambientale. Inoltre, 1 kg di abiti usati riduce di 3,6 kg le emissioni di anidride carbonica, di 6.000 litri il consumo di acqua, 0.3 kg di fertilizzanti e 0.2 kg di pesticidi. 

Per ridurre l'impatto ambientale dei nostri scarti è però necessario allestire una coerente filiera dalla raccolta differenziata allo smistamento (selezione dei capi per tipologia fibrosa, separazione di accessori quali bottoni, fibbie), dalla sfilacciatura dei tessuti alle successive operazioni necessarie  a ridurre i materiali post consumo in fibre o in polimeri ri-filabili.

Ricordiamoci che si può differenziare la frazione tessile dei nostri rifiuti domestici e non: il CONAU, Consorzio Nazionale Abiti Usati raccoglie infatti abiti dismessi da destinare al riciclo, pratica ancora poco conosciuta e poco pubblicizzata in Italia (la percentuale di abiti raccolti in Italia si attesta allo 0.22%) ma che diventerà obbligatoria entro il 2050.

Nel deserto di Atacama affiora la gigantesca scultura dell’artista cileno Mario Irarrázabal, una mano umana che esprime una disperata richiesta di aiuto inascoltata. Quando scartiamo un capo di abbigliamento, prendiamoci del tempo per smaltirlo in modo corretto, informiamoci sulle modalità e punti di raccolta (siano essi a scopo di riciclo o di aiuto umanitario): una nostra scelta superficiale può creare importanti conseguenze a migliaia di chilometri da noi. 

 

Pubblicato

19 Novembre, 2021

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