L'Italia è stata fino ai primi del secolo scorso un'importante produttore di fibre tessili, soprattutto lana, quantitativamente tanto importante da caratterizzare l’economia di vari stati preunitari. Dal basso Medio Evo in poi possiamo immaginare le strade dell’Italia attraversate da milioni di pecore transumanti che si spostavano dalle aree montane, dove le greggi trascorrevano le epoche calde dell’anno, alle aree pianeggianti, dove invece trascorrevano le stagioni fredde.

Tutto un reticolo di vie esisteva già dall’epoca pre-romana e intorno a tali vie era sviluppata una vita economica e pastorale assolutamente specifica. Il Granducato di Toscana, lo Stato Pontificio e l’allora Regno delle Due Sicilie avevano creato delle apposite Dogane per riscuotere le tasse che derivavano da tale movimento. Esistevano poi normative specifiche, anche transnazionali che disciplinavano secondo criteri stabiliti da millenni le regole di affida e gestione dei  pascoli.

A partire dalla metà del XIX secolo, con la progressiva liberalizzazione del mercato mondiale della lana, questo sistema pastorale è progressivamente scomparso e ora razze come la Gentile di Puglia o la Sopravissana, che contavano all’epoca  milioni di animali, sono ridotte a poche migliaia di capi.

Contemporaneamente alla scomparsa di questo sistema produttivo scompare in Italia anche l’interesse alla ricerca nel campo degli animali produttori di fibre tessili.

L’inversione di tendenza inizia circa venti anni fa. A partire dall’inizio degli anni ‘90 l’ENEA, nell’ambito di una strategia di proposta alternativa ai sistemi agricoli tradizionali, in particolare della sua politica di diversificazione delle ricerche, organizza un gruppo di Agrobiotecnologie avanzate che ha il compito di creare innovazione in campo agricolo e zootecnico. L’idea nasce dalla necessità di creare un’alternativa alle pratiche zootecniche estensive tradizionali indirizzate alla produzione di latte e carne, mediante recupero di aree agricole abbandonate e marginali. Il progetto si prefigge lo scopo di ricreare una filiera di produzione che sia basata esclusivamente su animali da fibra in grado di fornire un reddito integrativo all’impresa agricola tradizionale, attraverso sistemi caratterizzati dal basso costo d’impiego di  mano d’opera. Il sistema di allevamento è oramai ampiamente consolidato, e la gestione genetica oculata ha permesso di evitare pericolosi incrementi di consanguineità e la produzione degli animali è progressivamente aumentata. L’allevamento della capra Angora, pur essendo molto specializzato, attraverso l’esperienza ENEA ha permesso di dimostrare ai nuovi e vecchi allevatori la fattibilità zootecnica ed economica di un sistema per lungo tempo abbandonato. Con il progetto “ARINCO”, nel 1995, arrivano gli Alpaca, grazie ad un progetto dimostrativo sull’introduzione in Italia degli alpaca e di capre Angora nel territorio Umbro, finanziato dalla Commissione Europea. Per questo gli alpaca italiani diverranno, dopo quelli australiani e neozelandesi, i primi al mondo ad essere dotati di un indice genetico che ne certifica la qualità.

Parallelamente al Progetto ARINCO, la Regione Marche finanzia il Progetto “Sopravissana e derivate”, volto al recupero della razza Sopravissana anche attraverso la creazione di nuovi tipi genetici. In questo caso, grazie all’incrocio tra arieti Merinos neozelandesi neri e marroni e pecore Sopravissane  bianche, si creano due linee genetiche colorate, una linea nera ed una marrone, naturali. 

Le lane naturalmente colorate nel progetto sono state particolarmente apprezzate e, lavorate nell’ottica della filiera, hanno prodotto valori aggiunti interessanti per l’impresa agricola produttrice. Inoltre la loro finezza media, aggirandosi intorno ai 20 micron, che si sta provvedendo a migliorare ulteriormente, ha trovato anche l’interesse dell’industria tessile Italiana tradizionale, permettendo così la creazione di una linea di tessuti ecologici 100% lana Italiana naturalmente colorati.

Il progetto, inoltre, ha permesso anche di recuperare le più tradizionali piante tintoree coltivate nell’Italia Centrale e di mettere a punto le tecniche di coltura e di estrazione e ha favorito lo sviluppo di una imprenditoria privata di grande valore, legata attualmente ad importanti gruppi industriali. 

Tutte le esperienze di introduzione di animali da fibra si sono scontrate con la difficoltà di gestire il prodotto dalla fase della raccolta a quella del filato e del manufatto, non esistendo più in molte parti d’Italia una filiera ben organizzata in particolare per produzioni di media e piccola quantità. Per ovviare a questo inconveniente e per permettere agli allevatori di aumentare il valore aggiunto del prodotto, passando dalla vendita della fibra bruta a quella del filato e/o del manufatto, l’Università di Camerino e l’ENEA hanno  creato un Consorzio Internazionale per la ricerca e il trasferimento tecnologico delle fibre (Consorzio Arianne). ll Consorzio è stato in grado di proporsi come promotore di progetti di ricerca e sviluppo territoriale nazionale ed internazionale potendo mettere a disposizione delle iniziative esperienze capaci di coprire l’intera filiera tessile.

(Tratto da Sustainability-lab)

Pubblicato

12 Novembre, 2021

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